Darwin e l'albero delle mele
di
Giancarlo Grassi
Proprio quel giorno, un giorno qualunque, quel nostro lontanissimo antenato decise che era stufo d’essere scimmia, pur senza avere ben chiaro cosa avrebbe voluto essere.
Per cominciare scese dall’albero dove alloggiava e decise fermamente di non ritornarci.
Si propose da quel giorno di non mangiare più banane e si oppose decisamente a farsi spulciare da quella femmina testarda che aveva voluto seguirlo anche lì. Che ognuno si tenga le sue pulci!
Lui e la caparbia compagna si resero conto, con grande soddisfazione, che la vita a terra era stupenda. C’era un allegro ruscello, frutti variati e succosi, facili da raccogliere. Un vero paradiso e loro si sentivano dei pionieri. Ma la cuccagna non doveva durare.
Nel loro girovagare scoprirono un albero che non avevano mai visto e dai cui rami pendevano vistosi frutti. Ma ecco apparire uno sconosciuto rompicoglioni a blaterare che quell’albero era solo suo ed a lanciare oscure minacce se avessero toccato uno solo di quei frutti. Un vero mafioso insomma.
Sul momento pensarono che poteva trattarsi di qualcuno che li aveva preceduti nella loro antiscimmiesca avventura. Si consultarono e decisero che non avrebbero sopportato soprusi di nessun genere da quello stronzo, che oltretutto era solo, mentre loro erano in due. Colsero dall’albero uno dei frutti, tanto per far vedere al mafioso che non lo temevano.
Ma la cosa finì male. L’energumeno risultò più forte del previsto e furono ignominiosamente scacciati a calci in culo.
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