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Il “Mostro” del Lago Maggiore


     di Tommy "Due calzini"


Ogni tanto si guardava allo specchio con l’illusione di trovarsi cambiato.
Invece niente.
Del resto Michele era un uomo di lago, e un lago è un lago, non cambia granché e non riserva grandi sorprese nemmeno a sé stesso.
E così si sentiva anche lui, sempre uguale a sé stesso: acqua ferma.

Allo specchio era tutto come al solito: barba brizzolata, rughe appena evidenti solo al lato degli occhi, abbronzatura zero e ben dipinta sul volto quella espressione neutra di chi in fondo ha sempre avuto ben poco da dire al resto della umanità.
Forse la verità era che non ne aveva mai avuto veramente il tempo, chissà….
Venti minuti di viaggio comunque sono pochi per imbastire un qualsiasi rapporto umano, figuriamoci se potevano bastare a uno come lui, condannato a reggere per tutta la vita una barra che si sposta al massimo di un grado o due, dentro un cabina di comando dalla quale si vede soltanto uno spicchio di un orizzonte senza varianti: ora hai di fronte il molo di Laveno, venti minuti dopo quello di Intra, in un ping pong quotidiano tra Piemonte e Lombardia.
La sua vita era trascorsa quasi interamente a bordo del “Nettuno”, dall’alba al tramonto sempre lì a fare l’elastico tra le due sponde di un lago.
Tante volte gli era capitato di domandarsi a quale delle due sponde appartenessero, loro tre. “Ma in realtà noi non apparteniamo”, si diceva.
Loro erano del lago, ormai, come le onde i pesci e i gabbiani. E cioè cose d’acqua dolce, che fluttuano e galleggiano su un’acqua che è sempre la stessa e che non ha novità da regalare, non comunica niente. Sta lì.
Del resto, a differenza del mare, il lago non si scuote mai, non ha messaggi in bottiglia da recapitare, né si è mai sentito di pirati, ammiragli, sbarchi di truppe, mercanti in cerca di territori con cui vendere e scambiare.

Insomma un lago è un lago e basta, è un espediente geografico teso fra monte e monte, messo lì a fare da collante oppure a tappare un buco e niente altro e non ha quasi odore, se si eccettua quello che arriva dai territori circostanti e dall’imputridire della vegetazione e di tutto ciò che i paesi affacciati tutto intorno riescono a scaricarci dentro.
Un lago è solo una zuppa fredda servita a colazione pranzo e cena. E a volte puzza.

Ma era la loro fetida vita, maledizione…

Michele non era altro che il comandante di un traghetto, all’indomani sarebbero andati tutti e tre in pensione: lui, il "Nettuno" e il vecchio Pendolino.
Tre apolidi, tutto sommato.
Pendolino era il suo cane, un cane d’acqua dolce: un qualche padrone senza cuore lo aveva lasciato legato sul ponte del "Nettuno" che era ancora un cucciolone, abbandonato come un figlio della colpa.
Al collo niente medagliette, ma un pietoso foglietto legato al collare con scritto sopra: ”Mi chiamo Dick”.
Forse lo aveva scritto un bambino, in un estremo atto di affetto, prima di separarsi da un probabile “regalo di Natale” cui aveva certamente voluto un po’ bene.
Ma già dalla scelta del nome (tutti i cani finiscono per chiamarsi Dick o Bobby, pensò Michele, perfino quelli di stoffa) si capiva che quel povero animale aveva il destino segnato.
Pendolino è il nome che gli aveva dato lui; dopo aver cercato invano di rintracciare il padrone aveva deciso di liberarlo sulla sponda del ritorno pensando che forse avrebbe ritrovato la strada di casa come del resto faceva lui tutte le sere alla fine del turno, senza quasi pensare.
Il cane invece si piantò sul pontile per giorni e giorni, in attesa di un padrone che non tornò mai. Così lo prese a bordo non scese più di lì e fu il suo Pendolino e il perché di questo nome è facile immaginarlo.
"Nettuno" invece è il nome del glorioso traghetto che aveva avuto l’onere e forse non l’onore di condurre da qui a là e ritorno per circa trent’anni. In realtà la scritta sulla fiancata diceva ben altro, ma lo chiamava così, come la divinità padrona del mare; perché in mente sua gli dei non hanno del tempo da perdere con i laghi e secondo la sua scarsa conoscenza della mitologia non ce n’era uno espressamente dedicato all’acqua dolce.
Se anche ce ne fossero stati non si interessavano certo del suo lago e comunque, nonostante il suo andirivieni su quello specchio d'acqua, non aveva mai avuto il piacere di farne la conoscenza.
Il nome così altisonante che aveva dato alla sua imbarcazione lo faceva sentire più importante, vuoi mettere “Nettuno” con “Freccia del Verbano”?
Ma siamo sempre lì: un lago è un lago e non è altro che il mare di cui ci siamo accontentati.

Tutti e tre, il comandante la nave e il cane, erano ormai solo pezzi di storia da archiviare, una storia monotona passata a penzolarsi da una sponda all’altra del Lago Maggiore, da Laveno a Intra e ritorno: venti minuti di calma piatta all’andata, altri venti al ritorno.
Imbarcavano cose e persone da una parte e li vomitavano dall’altra, dall’alba al tramonto, sempre così, ogni santo giorno così, feste comprese.

Un lago, si è detto, riserva ben poche sorprese, è un orizzonte ben ristretto visto dalla cabina del comandante di un traghetto: a pensarci bene gli era capitato moltissime volte di desiderare di fare una virata improvvisa a dritta o a mancina e di percorrere il lago dal suo lato più lungo, verso il “sancarlone”o verso la mitica ordinata e pulita Svizzera: sarebbe stata una scorribanda storica, un cambiamento epocale in cui avrebbe potuto coinvolgere il suo carico di pendolari o di turisti che magari avrebbero protestato appena un po’, poi avrebbero accolto il fuori programma come una vera liberazione o come una trovata brillante dell’ente per turismo locale.
Ma non ne ebbe mai la forza, non sono pensieri da marinaio d’acqua dolce, che non è pirata per definizione e tantomeno per vocazione.
Così oggi è l’ ultimo viaggio, saranno prepensionati dalla inaugurazione di quel famoso ponte: verranno le bande e tutti i sindaci dei paesi intorno, più qualche pezzo grosso del governo per festeggiare la nascita del "mostro" del lago Maggiore.
Si era spesso domandato quale uomo senza cuore potesse odiare così tanto il suo lago da costruirci sopra un ponte e vanificarne l’esistenza: eh sì, perché il buon Dio i laghi i mari e le isole non li ha pensati perché noi ci facessimo sopra dei ponti per andare e venire a piacimento e in poco tempo.
Voleva insegnarci ad osare e pazientare, ad andare a scoprire cose nuove e diverse e meravigliarcene, ma piano piano e con fatica, e spesso a dispetto dei venti e delle divinità avverse.
E al ritmo delle onde.

La loro vita, anzi la vita di tutti e tre è stata fino a oggi una lunga partita a tennis e loro erano stati le palline, racchettati da una parte all’altra di questo mare ristretto, ma fedeli ai propri compiti fino alla fine.
E oggi è appunto quella fine.

E allora si parte per l'ultima corsa.
Il braccio è ancora forte, l’altra sponda si vede come sempre ad occhio nudo: Pendolino si piazza come al solito a prua, che al ritorno però diventa poppa perché per un traghetto non fa nessuna differenza.
Il traghetto è una nave senza capo né coda, esattamente come gli pareva essere la sua vita in questo momento e ora che ci pensava da trent’anni a questa parte non ricordava di aver mai manovrato il Nettuno in modo da arrivare con la stessa prua sia all’andata che al ritorno.
Una vita senza virate e senza curve.

Arrivano con la solita puntualità sull’altra sponda, praticamente hanno costeggiato il ponte che di lì a poco verrà inaugurato da quei pazzi che hanno deciso di uccidere il loro lago.
Tra cinque minuti ripartiranno, lui con la divisa delle grandi occasioni, la barba tanto ben curata che gli sembra di essere il comandante di una fregata oppure il protagonista dello spot del tonno Nostromo.

L’ultimo colpo di sirena sembra il rantolo di un animale morente, il Nettuno si avvia alla pensione: il lago non è mai stato così placido e non puzza nemmeno un po’. Pendolino è al suo posto, piantato a prua come una polena, e allora avanti a tutta forza.
A bordo non c’è nessuno, l'ultimo traghetto si fa il funerale da solo.
E lui si accende la pipa, è la prima volta che lo fa in servizio in tanti anni. C’è sempre una prima volta, pensa Michele ed è ben strano che la prima e l’ultima debbano per forza coincidere…
Avanti a tutta forza, barra ben salda e braccia ancora forti.
Alla sua sinistra il mostruoso ponte è pieno di gente festante, palchi e fanfare sono in piena attività.
Motori avanti tutta!
E a un tratto la decisione, improvvisa e terribile come una tempesta di lago: le sue braccia ancora forti si avvinghiano alla barra, ruotando il timone per la prima volta della sua vita tutta a mancina, in una folle rincorsa sul lato lungo del suo amato specchio d’acqua.
Al termine della virata puntano dritto ai sostegni del ponte.
Il Nettuno fila via che sembra un motoscafo, 10 nodi, 20 nodi: Pendolino dritto e fiero a prua sembra puntare la preda e lui adesso è Sandokan, altro che tonno Nostromo.
Motori avanti tutta!
Sul ponte nessuno si accorge di nulla, fino al ruggito finale.
Il boato è enorme, il ponte-mostro però non vacilla nemmeno per un secondo.

Ora tutti sono affacciati a vederli affondare, ingloriosa e inutile invettiva lanciata contro il nuovo che avanza: uno sputo in faccia al plotone di esecuzione, o forse uno schiaffo dato a un nemico di marmo, ma tant’è: il “Nettuno” si inchina sul fianco e inizia lentamente a sprofondare, Pendolino è finito in acqua e non sa neppure verso quale sponda nuotare.
Beato lui, che almeno sa stare a galla. Solo ora Michele si rende conto che non solo non è mai stato un bucaniere, ma nemmeno un uomo di mare.
E si ricorda anche che, maledizione, non sa neanche nuotare.
Non è così che doveva finire, pensa Michele, è una storia senza eroi.

Così lancia un ultimo grido della sirena, si mette sull’attenti davanti alla bandiera e affonda con la sua nave giocattolo e senza alcun Dio del lago che lo venga a salvare.
Tra poco sarà un tutt’uno con la melma del fondo.
E mentre quell’acqua leggera lo tira giù alla fine lo vede.
Il Dio Verbano!
Allora il Dio del Lago esiste eccome.
E’ alto, bello e con le gambe ben piantate sul fondo incredibilmente sta reggendo sulle sue immense spalle il ponte che lui ha appena provato a far crollare.
E sorride, come mettendosi in posa.
Di questi tempi, si sa, gli sponsor e le mafie fanno miracoli.









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