... a te, che cammini nella luce.
Le aveva raccolte tutte nella cesta della biancheria, per tenersele accanto e non ne aveva mai persa una. Le conservava con devozione, per quello che significavano.
Erano figlie della sofferenza e le erano state affidate senza esitazione, in cambio di un momento di comprensione, di partecipazione sincera, che era già sollievo.
Lei era fatta così. Trovava sempre tempo per ascoltare le confidenze di tutti.
Non aveva parole speciali da regalare, tanto meno una soluzione pronta, anzi, nemmeno ne trovava per i suoi guai; però offriva la sua attenzione con generosità ed agli altri questo bastava. Li abbracciava così, li circondava con il suo calore e li faceva sentire meno soli e davvero compresi, anche nelle loro miserie quotidiane.
Erano lacrime liberatorie, nate semplicemente dalla condivisione di segreti e dolorose confessioni, sgorgate a mezza voce nella penombra di un pianerottolo, o accanto al tavolo di una piccola cucina, tra un sorso di caffè caldo, appena colato nella vecchia caffettiera napoletana, e occhiate complici di donne, che conoscevano bene la fatica di far bastare quel poco che entrava ogni mese ed il sapore delle rinunce, che perfino un figlio in più sarebbe stato un lusso ed anche il rimorso per certe scelte discutibili, ma profondamente umane.
Vite parallele che scorrevano fra stenti e sacrifici, all’interno di appartamenti minimi di un grande condominio, uno dei tanti, sorti nel primo dopoguerra, ai margini della metropoli.
Pareti che avevano orecchie, cortili che avevano occhi crudeli nel giudicare le apparenze.
Ma non gli occhi di mamma: i suoi erano diversi, sapevano intuire e cogliere le attenuanti.
Ora tutto mi pare lontano, pure ricordo che queste sensazioni erano palpabili e quando il sorriso di una vicina incrociava lo sguardo di mamma, era un sorriso colmo di riconoscenza, un socchiudere le labbra quasi a raccontare ancora.
L’amavano tutti, sinceramente, senza remore ed avevano lasciato in quella cesta le loro lacrime: un dono per chi aveva saputo accoglierle e, nel mio ricordo, splendono ancora, ché condivisione e riconoscenza non patiscono né il tempo, né l’usura.
[26/09/2006]