L'isola di pietra
Era un’isola incontaminata dei mari del sud, lontana da tutte le rotte più o meno battute, per questo era rimasta senza nome e non appariva sulle carte nautiche
Vi abitava Aurora, ninfa delle acque, assai amata dagli dei, che non le avevano negato nessuna grazia, salvo poi abbandonarla al suo destino e dimenticarsi della sua esistenza.
La Provvidenza non era ancora stata inventata.
Sull’isola vivevano anche molte creature dell’aria, dell’acqua e della terra ed un vecchio mago rozzo e accidioso.
Aurora non amava il sole rovente di quelle latitudini e preferiva le ore dell’alba, quando la luce radente rendeva i colori più delicati, per questo la sua pelle era pallida come la luna.
Di giorno si aggirava per i boschi, cercando ombra e frescura, o si tuffava nelle tiepide acque dei laghetti. Il mago aveva preso l’abitudine di spiare Aurora senza alcun ritegno, celandosi fra il fitto fogliame, non disperando perfino di poterla alla fine conquistare.
Un giorno, che non oserei definire fortunato, un pirata vagabondo e solitario approdò sull’isola, che, per la presenza di numerose grotte, gli sembrò particolarmente adatta per nascondervi i suoi tesori. Così vi tornò spesso per mettere al sicuro il suo bottino.
Aurora lo scoprì molto presto e, senza mostrarsi, lo seguì incuriosita.
Era la prima volta che incontrava un suo simile. Appena quello ripartì, la ninfa tornò nelle grotte ad esaminare ciò che il pirata Gianni vi aveva nascosto con tanta cura.
Prese gusto ad indossare i gioielli più colorati e luminosi e a rigirare fra le mani splendenti coppe d’oro portandole istintivamente alle labbra.
Rimase colpita in particolare da certi manoscritti, decorati con strani disegni: creature simili a lei ed al pirata, ma vestite con buffi tessuti ingombranti e cappelli piumati. Non aveva mai visto nulla di simile.
Un giorno, verso il tramonto, Gianni tornò sull’isola, ma il vento, che soffiava nella direzione opposta, non portò ad Aurora il rumore dei remi, che sbattevano ormai presso riva, e nemmeno quello della chiglia, trascinata sull’arenile. Solo all’ultimo istante si accorse dell’estranea presenza e corse a nascondersi.
Gianni notò un certo movimento, ma per quanto guardasse da ogni parte, non vide nulla di strano. Solo quando passò ad ispezionare i suoi libri ebbe la sensazione che fossero stati spostati, ma non poteva esserne certo, perciò decise di indagare.
Finse di allontanarsi, nascose fra il fogliame la sua scialuppa e si appostò vicino alle grotte.
Alla tenue luce lunare vide Aurora aggirarsi nel bosco, tuffarsi nell’acqua e danzare divinamente, coperta solo dai monili che lui aveva faticosamente conquistato, ma la celestiale visione fu per lui fatale e se ne innamorò.
Per non spaventare la ninfa si tolse quel poco che ancora indossava, depose a terra il fido pugnale e scivolò fuori dal verde come fosse creatura del bosco.
Aurora rimase un poco indecisa, ma, non vedendo segni di disapprovazione sul volto del pirata, pensò di ringraziarlo per i doni che le aveva lasciato nelle grotte e gli gettò le braccia al collo.
Furono giorni felici per Aurora e Gianni, ma il mago, accecato dalla gelosia, studiò il modo di vendicarsi.
Un gran mago non era, ma tanto s’adoprò per rovinare la loro vita che riuscì a mettere in atto un crudele incantesimo, anche se la cosa gli comportò la perdita dei suoi attributi e della stessa virilità.
Per effetto della magia, all’alba del nuovo giorno, Aurora si trasformò in una grande quercia coi lunghi rami stesi sotto a quel sole che tanto odiava, con l’unica soddisfazione di poter proteggere con la sua ombra il pianto del suo amato.
Al tramonto, quando finalmente riacquistò il suo vero aspetto, sempre per effetto della stessa magia, tutta l'isola e i suoi ospiti divennero statue di pietra, così che Aurora non poté più essere amata dal suo pirata, né rinfrescarsi nelle acque dell’isola, divenute impenetrabili graniti.
E fu così ogni giorno e ogni notte.
La formula per infrangere l’incantesimo, obbligatoria in ogni magia, fu accuratamente scritta su una tavoletta di terracotta dallo stesso mago, che poi la nascose per bene: questo era concesso.
Ogni giorno Gianni tornava sotto la quercia e la bagnava di lacrime… Stringeva e baciava quel tronco che pure era vivo e sembrava avvertire la sua presenza, poi fuggiva lontano perché lei non lo sentisse urlare di dolore.
Di notte Aurora correva disperata per tutta l’isola pietrificata, in cerca di acqua e refrigerio, poi tornava ad abbracciare la statua di Gianni e sfinita, s’addormentava ai suoi piedi.
Conosceva benissimo il responsabile di tutto questo e l’avrebbe fatto a pezzi con le sue stesse mani, se l’avesse trovato. Sapeva anche che doveva esserci un modo per sciogliere l’incantesimo, ma per quanto cercasse, non le riuscì di scoprire nulla.
Anche Gianni, condannato a restare solo con i suoi inutili tesori, a volte pareva proprio sul punto d’impazzire: s’accaniva persino contro quel tronco, che non somigliava affatto alla sua bella Aurora, poi si buttava contro le rocce, cercando inutilmente di porre fine ai suoi tormenti.
Accadde che un giorno mentre calciava nel vuoto per dar corpo alla sua rabbia, vide qualcosa volare per aria, colpita dal suo stesso piede, e poi ricadere a terra ormai a pezzi.
Incuriosito, ricompose i cocci e vi trovò inciso un messaggio: era la formula per sciogliere il maleficio.
Riuscì a leggere: “… da pronunciare ad alta voce sotto alla Quercia, tenendo ben alta la tavoletta INTEGRA verso il sole, a mezzogiorno in punto!”
[14/10/2003]
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