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Tre! Quattro! Dodici!


     di Giancarlo Grassi




“Io Samuele, fratello vostro, vi dico che sono stato testimone della Visione.
Ho visto Golog uscire dal Labirinto. Ora dovrete affrontare la sua giustizia.”
Apocalissi di Samuele, III, 9: 15



La mia attesa fu premiata: il grande vecchio si stava svegliando dal riposo pomeridiano. Mi avvicinai rumorosamente per finire di svegliarlo, disposto come sempre a sfidare la sua saggezza.
-Nonno, raccontami una storia.
Sorrise e si accomodò per iniziare quel rituale che tutti e due ben conoscevamo.
-All’epoca dei dinosauri, gli uomini non usavano gli orecchini.
-Non c’erano uomini all’epoca dei dinosauri! –Lo interruppi.
-Bimbo! Già sai che non si ammettono obiezioni. Solo si permettono domande –disse fingendosi arrabbiato. –Altrimenti, niente storia!
Finsi di sentirmi dispiaciuto: -Sta bene.
-Gli uomini non usavano orecchini e le donne nemmeno.
-Come potevano distinguersi allora?
-Per mezzo dei feromoni, come le farfalle.
-I feromoni sono delle formiche e dei...
-Nessuna obiezione, ho detto!
-Va bene nonno. Però: cosa facevano gli uomini senza orecchini all’epoca dei dinosauri?
-Cercavano di entrare nel Labirinto.
-Entrare?
-Sì, entrare.
-Mamma dice che questa storia le ricorda Kafka.
-Bambino... tua mamma legge troppi libri blasfemi. –disse con aria di tenero rimprovero- Proprio così... cercavano di entrare nel Gran Labirinto della vita.
-E ci riuscivano?
-No. Solo Golog c’è riuscito sinora. Per andare al sacrificio. Per offrire la sua vita.
- La mamma dice che non è vero.
-La mamma... la mamma... tua madre, come molti altri, ha perso la via della saggezza che insegna il Libro Sacro –e questa volta non seppe trattenere un gesto di stizza, non certo finta.
-Mamma dice... -ormai sapevo che non avrebbe posto in pratica nessuna minaccia. Ora avrebbe accettato le mie obiezioni per meglio controbattere i miei finti dubbi. E lui sapeva bene che ero dalla sua parte– Mamma dice che Golog... era deforme.
-Bestemmie... bestemmie di tua madre. Tu, lo sai, il Libro lo dice “Siamo uguali e differenti così come Lui è uguale e differente dal Padre”.
-Uguali e differenti... allo stesso tempo? –si ripeteva il rituale. Io conoscevo le risposte. Lui conosceva le domande- Non capisco nonno.
-Sai bene che non c’è nulla da capire. Solo bisogna credere. Credere! Golog entrò nel Labirinto e uscì dall’altro lato. Per portare La Parola ad altri fratelli.
-Deformi come lui? Fratelli che avevano solo due...?
-Tutti siamo uguali! Uguali e differenti nel Padre. Solo devi credere. Dobbiamo credere! Bisogna credere!
-Allora è un dogma?
-Sì, bambino saputello, è un dogma. –Ora il grande vecchio sorrideva apertamente e una piccola lacrima di soddisfazione gli attraversava la guancia arrossata. Scese dal letto senza sforzo apparente. Mi avvicinai. Tutti e due conoscevamo il rituale e ci accingemmo ad eseguirlo ognuno riconoscente verso l’altro.
Con voce forte e chiara, all’unisono, pronunciammo il sacro atto di fede “Tre! Quattro! Dodici!” E come esige il rituale levammo le mani al cielo, poi, sempre come fossimo una sola voce, proseguimmo con l’atto di fede “Tre, come i miei occhi! Quattro, come le mie mani! Dodici, come i comandamenti della legge del Padre”.
Quando la mamma entrò, ci fingemmo impegnati in una partita a scacchi.



[01/09/2002]






conlavitaintasca     idea e realizzazione di     ester margherita barbato